Le Località - Maratona della Valle Camonica

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Le Località

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I NOSTRI PAESI " I nos paes "





Berzo Inferiore

    
Il paese di Berzo Inferiore ha vissuto pressappoco la trafila storica dei centri di Esine, Bienno e Prestine. Anch'esso insediato nella valle del Grigna ha goduto della florida ricchezza prodotta dalle fucine per la produzione della ferrarezza. Il nome del paese compare per la prima volta nel 1041 e viene citato come Bercio.
Alle sue origini l'economia era incentrata nella coltivazione e nell'allevamento degli animali. Berzo dunque da Bersium (siepe o recinto), ma anche bàr-bèr (montone, pecore, ovili). Anche Berzo Inferiore ha un suo importante legame con la romanità. A ridosso del monte sormontato dalle chiese di S. Lorenzo e S. Michele, in fregio all'Oratorio, sono state rinvenute ben tre fornaci per produrre la calce. Ebbene, queste fornaci venivano usate dai romani di Cividate per costruire il loro anfiteatro, il teatro, le terme e le loro abitazioni; quando all'epoca Berzo non esisteva. Fino all'avvento della evoluzione industriale il comune viveva di quei proventi, arricchiti e integrati dalla coltivazione e dall'introito che gli veniva garantito dalle sue estesissime abetaie. A partire dagli anni sessanta dello scorso secolo il paese divenne un importantissimo centro industriale nella produzione del tondino per cemento armato, fino al periodo di crisi. Artigiani e piccoli industriali si sono però impegnati creando produzioni alternative sempre nel campo della metalmeccanica. In campo religioso il paese ha vissuto due importantissimi eventi, l'uno, era il 1616, legato alla apparizione della Madonna a tale Marta Damioli Polentini, da cui il popolo ha voluto la costruzione dell'attuale chiesa parrocchiale. L'altro riferito a Giovanni Scalvinoni (1844-1890) meglio conosciuto come il Beato Innocenzo da Berzo. Sul monte, a quasi duemila mslm, c'è il Bivacco S. Glisente e annesso Eremo di colui che fu fratello leggendario di S. Fermo (Borno) e S. Cristina (Lozio)   

Bienno


Questo antico comune è stato di fatto il centro più importante della Vallecamonica per intraprendenza artigianale dovuta alla lavorazione del ferro minuto, usufruendo dell'acqua del Grigna per suo uso e consumo Ma, a differenza dei suoi confratelli, Bienno, operando in modo oltremodo articolato, certo facilitato dalla configurazione geografica del suo territorio, ha fatto del canale Re e del suo prezioso liquido l'elemento che gli ha permesso per almeno sette secoli di produrre una dignitosa ricchezza. Ne sono esempio le case torre dai ciclopici massi, le soluzioni architettoniche del suo centro storico, le testimonianze artistiche dalla componente popolare che hanno permesso di fare una cosa unica e importante del vilaggio, tanto da meritarsi, in questi ultimi anni, il titolo di uno dei "Borghi più belli d'Italia". Nel suo territorio esistono diversi luoghi di culto, compreso il Colle della Maddalena o Cristo Re dove la chiesetta ha trovato posto sui resti di una antica grotta\eremo ad uso e consumo dei frati francescani del vicino Eremo dei SS. Pietro e Paolo. È tutta di componente popolare anche la chiesa di S. Maria presente nel centro storico. La chiesa era stata voluta dal popolo di Bienno come azione di indipendenza, sembra di capire, dalla parrocchiale gestita dai frati benedettini di Brescia. Fondata nella seconda metà del XV secolo otterrà la piena funzione religiosa solo negli anni trenta del secolo dopo. Ne fa fede una bolla papale presente nell'archivio parrocchiale in cui l'allora Papa Paolo III, definendola "su luogo profano"
ne autorizzava l'uso al culto. A partire dai primi anni novanta dello scorso secolo Bienno è entrato a pieno titolo nel variegato mondo delle iniziativa paesane valligiane con l'allestimento della "Mostra mercato" che nella settimana di tempo di apertura attira decine di migliaia di visitatori.

Braone


In dialetto camuno si dice Bragù o Braù e a tutt'oggi conta quasi settecento abitanti. Il paese è assai raccolto sui fianchi della montagna che lo sovrasta, mentre alla sua sinistra sbircia il Pizzo Badile, ed è posto sulla sponda sinistra della Valle Camonica lontana circa un km dal fondo valle. A far tempo dagli anni Settanta anche Braone ha subito l'esigenza di svilupparsi con nuove abitazioni che degradano verso il fondo valle, mentre il suo antico borgo rimane dignitoso a fare da corona alla Parrocchiale intitolata alla Purificazione di Maria Vergine. Posto come è al vago il suo territorio subisce la mancanza del sole per molte ore al giorno e questo gli rende l'inverno mediamente più freddo della norma, rispetto ai borghi al solivo e, nel mese di gennaio, la sua temperatura minima si attesta a - 1,0 °C. In compenso i mesi estivi garantiscono con i + 20 °C del mese di luglio una frescura ideale per i suoi abitanti.  
La storia della località, che in seguito ha ospitato il paese, racconta del suo passato certamente millenario. Si vuole ricordare che nel 1956, all'interno di una tomba e racchiuse in una teca, furono rinvenute nove monete d'oro che vennero catalogate come "Il tesoretto di Braone" e che si trovano esposte presso il Museo Archeologico Nazionale di Cividate Camuno. Esse, grazie alle effigi che si notano sulle facce che raffigurano l'Imperatore Leone I (411-474) sono state datate con certezza. Sui rovesci, oltre alla Vittoria, si notano altri segni e incisioni che raccontano del periodo storico che rappresentano. Lo ha confermato Serena Solano responsabile per i Beni Archeologici sostenendo che: "Le monete risalgono al V-VI sec. d. C., un periodo che in Valle, dal punto di vista archeologico, ha lasciato poche testimonianze"  





Breno

Breno da sempre è stata la 'capitale' della Vallecamonica. Adesso un pò meno, sorpassata per numero di abitanti, con una rapporto di c\a uno a tre, ma anche per dinamismo da Darfo B. T. Comunque Breno continua ad essere il più importante centro amministrativa valligiano, con la sede della Comunità Montana di Vallecamonica e del B.I.M. Bacino Imbrifero Montano, oltre che di un centro scolastico superiore di primordine, con scuole e istituti di ogni ordine e grado, guidato dal Liceo C. Golgi. Già dai tempi della Serenissima in Valle, (1428-1797) Breno era sede del Capitano di Valle e della Communitas totius Valliscamonicae. Attualmente mantiene questo ruolo di centro amministrativo ospitando le sedi della Pretura, della Tenenza dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, degli uffici Imposte e Registro, dell'ASL. Oltre al CaMus - Museo Camuno di Breno creato all'interno del Palazzo della Cultura che ospita nelle dieci sale in cui è articolato una prestigiosa collezione di opere d'arte, come dipinti, stemmi e arredi; ma anche utensili che risalgono alla Preistoria, oltre che materiale archivistico e bibliotecario antico. La cittadina è dominata dalla grossa mole del Castello la cui storia si spalma dalla Preistoria all'Età Veneta.
La testimonianza preistorica è riferibile al ritrovamento di reperti di una abitazione neolitica (c\a 3000 a.C) di forma trapezoidale larga cinque metri con resti di pareti formate da graticci intonacati con fango; e altri reperti; e due tombe con resti umani integri.   
La testimonianza storica ci ricorda che il Castello fu una importante struttura di difesa dell'intera Valle, che però nulla potè contro le cannonate del Colleoni nel 1453. E da allora, la Vallecamonica, fu, per altri trecentocinquant'anni, definitivamente Veneta; mentre il castello divenne cava di sassi per costruire le case dei brenesi. Nel 1986 avviene, in località Spinera, il ritrovamento casuale, durante degli scavi per opere pubbliche, del Santuario della Minerva. Gli scavi condotti dalla soprintendenza archeologica della Lombardia hanno portato alla luce i pavimenti a mosaico e le mura affrescate, resti di colonne e are votive. Nel duemila è stata rinvenuta anche la statua della dea, priva della testa, delle braccia e parte delle gambe. Ora l'area\santuario è stata coperta e trasformata in museo con una copia della statua di Minerva Hygeia, mentre l'originale si trova presso il Museo nazionale della Vallecamonica di Cividate Camuno.

Capo di Ponte

Il paese deve il suo nome perché in passato alcune case formavano una contrada sulla riva sinistra del fiume Oglio, lontana dal capoluogo, che allora era Cemmo, il quale però stanziava sulla sponda opposta del fiume. Ad unire frazione e capoluogo vi era un ponticello. In seguito, essendo quella contrada posta in pianura e a ridosso della strada statale, si sviluppò con case nuove fino a diventare, pur essendo "in capo al ponte", il capoluogo. Tutto ciò avvenne gradualmente a partire dal periodo medievale. Ma fu dopo la caduta della Repubblica di Venezia che acquisì il suo titolo, divenendo volta a volta 'Comune di Capo di Ponte'; poi 'Comune di Cemmo e Capo di Ponte'; e poi ancora 'Comune di Capo di Ponte e Cemmo'; per assumere infine il suo nome attuale e definitivo dopo l'Unità d'Italia. Il suo cuore pulsante è certamente il parco archeologico delle incisioni rupestri. Esso è stato il primo parco istituito in Valle Camonica e ha visto la luce nel lontano 1995 con la titolazione di "Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri di Naquane". Su quelle superfici di arenaria, quegli abitanti del passato, hanno raccontato figurativamente il loro modo di vivere incidendo mediante picchiettatura con sassi appuntiti figure di animali, uomini armati, telai verticali, palette, edifici. In queste raffigurazioni prevalgono figure umane, dapprima stilizzate e definite oranti per le loro braccia rivolte in alto come ad impetrare le divinità, ed in seguito sempre più perfezionate nelle loro espressioni dinamiche a rappresentare guerrieri, cavalieri, animali, figure simboliche, iscrizioni arcaiche. Nell'ambito delle figure trovate nell'ampio bacino camuno la più nota è certamente la "Rosa Camuna" scoperta in almeno 92 forme diverse il cui sviluppo grafico rammenta la Svastica celtica. Dopo la costituzione delle regioni italiane, la Regione Lombardia, aveva inserito in campo verde della sua bandiera la figura della "Rosa Camuna".

Cerveno

Il paese si trova a mezza costa sulla sponda destra della Valle Camonica e ospita presso la Parrocchiale una delle più importanti testimonianze artistico-religiose valligiane, il Santuario della Via Crucis. Esso si compone di 198 statue in legno e gesso in grandezza naturale, opera di Beniamino Simoni (1712-1787) e in parte di Grazioso Fantoni. Mantenendo una tradizione che si perde lontano nel tempo i suoi abitanti allestiscono a scadenza decennale la rappresentazione vivente della Via Crucis, facendo muovere per le vie del paese un centinaio di comparse rigorosamente vestite con abiti la cui foggia è stata copiata da quelli portati dalle statue.    
Il suo centro abitato è sovrastato alle spalle dall'imponente massiccio del Monte Concarena, 2549 mslm, che comunque non si è mai mostrata matrigna, mentre la vasta giogaia che degrada verso il fondo valle e il fiume Oglio ha permesso ai suoi abitanti nei millenni passati di produrre, con l'agricoltura e l'allevamento, alimenti bastanti per una dignitosa sopravvivenza. Altra fonte di reddito in quel lontano passato erano anche le viscere del monte che veniva scavato in laboriosi cunicoli per recuperare minerale di ferro; oltre a cave a cielo aperto in cui abili scalpellini ricavavano pietre d'opera dal calcare Buchenstein, una roccia che in paese chiamavano 'occhialino'.
La gente del paese ha operato anche per recuperare alcune importanti testimonianze del loro passato. Quelli di maggiore risonanza sono certamente la Casa Museo e il Torchio a leva. Nella Casa Museo sono raccolti, fra l'altro, gli insostituibili strumenti che servivano per la lavorazione e la produzione del vino. Per il Torchio a leva invece si è dovuto effettuare tutta una serie di studi e di ricerche sul territorio per poter intervenire nel recupero e definitivo restauro di questa macchina semplice. Il Torchio a leva può essere visionato esposto nel luogo di origine nei pressi della piazza principale del paese.

Ceto

I fianchi scoscesi della montagna accolgono come un nido di aquila il centro abitato di Ceto che con Nadro e il Badetto, posti più a valle, compone il comune. Dai quasi mille abitanti che aveva ai tempi dell'Unità d'Italia ora sono ormai duemila, con un balzo all'insù avvenuto negli ultimi trent'anni, a dimostrazione di un fenomeno di ritorno dovuto alla realizzazione di alcune strutture produttive che hanno prodotto posti di lavoro. A dare sfogo al comune è intervenuto anche lo sviluppo del nuovo centro abitato di Badetto, posto sulla ex SS 45 del Tonale e della Mendola, che fino ad una trentina di anni fa era poco più di una località. Il suo territorio fa parte del Parco regionale dell'Adamello e il paese è sovrastato dal monte Pizzo Badile Camuno, 2.435 mslm. I tre centri in quanto Comune fanno parte della Riserva naturale delle Incisioni Rupestri di Ceto-Cimbergo-Paspardo, la cui massima concentrazione di figure incise sulle rocce si trovano in località Foppe di Nadro dove è stato rinvenuto un riparo sotto roccia con focolare preistorico databile a circa 9.000 anni fa. E dove in una antica dimora compresa nel centro storico della frazione ha trovato posto il Museo Didattico della Riserva. A Nadro vi è anche una casa torre del periodo medievale che troneggia sopra il resto delle case del borgo. Ceto, in dialetto camuno, si può definire anche Sét o Hét, vocabolo che in Valle assume anche il significato di Sete nel senso di volere bere. Il folklore locale ci ricorda anche un altro detto che riguarda Ceto che però ha una sua contraddizione in termini, tanto che non si capisce bene se a crearlo è stato uno pseudo nemico dei due centri oppure un buontempone paraculo: Het e Nader tücc bindù e lader. Nader e Het, tücc braa set. Che tradotto significa: gli abitanti di Ceto e Nadro sono tutti scansafatiche e ladri. Mentre per contro gli abitanti di Nadro e Ceto, che sono ovviamente le medesime persone, sarebbero tutti brava gente.

Cimbergo

Il paese, come il vicino Ceto, è abbarbicato sul fianco della montagna che partendo dal Pizzo Badile Camuno, 2.435 mslm, degrada anche a balze scoscese verso il fondo valle. Su una di queste balze, e circondata da sprazzi di terra da poter coltivare per il fabbisogno alimentare, ha trovato posto il centro abitato, attraversato in senso parallelo all'andamento valligiano dalla strada che lo unisce anche a Paspardo.
La presenza del maniero, almeno con funzioni di avvistamento strategico di difesa, risale al periodo barbarico, mentre divenne anche luogo ospitante come abitazione dopo l'anno Mille. La storia ci ricorda che Federico Barbarossa, durante il decennio in cui ebbe a guerreggiare con i comuni della Lega Lombarda, passando dalla Valle Camonica, lo usò come dimora. In quel tempo il luogo era feudo del Vescovo di Brescia e il castello fu anche centro di beghe fra Guelfi e Ghibellini, fino al definitivo avvento dei Visconti di Milano che, con Barnabò, imposero il potere impiccando 38 cimberghesi. Gli eventi storici ci ricordano infine che il castello divenne proprietà dei Conti di Lodrone nel periodo a partire dal 1428 quando la Valle Camonica divenne Terra della Repubblica Serenissima di Venezia.  Adesso i suoi resti sono punto di riferimento per la visita al sito archeologico di Campanine, facente parte integrante della Riserva Regionale delle incisioni Rupestri di Ceto-Cimbergo-Paspardo.    
Cimbergo compare nei carteggi valligiani anche per una bega con la Vicinia del sottostante (geograficamente) Nadro per l'uso dell'acqua del torrente Figna. Quelli di Cimbergo, a monte, intendevano deviare il corso del torrente per uso agricolo, mentre agli abitanti di Nadro quell'acqua serviva per azionare i loro mulini. Furono fatti intervenire le massime autorità della Valle, ma anche gli 'avogadri' di Venezia, i quali,  quest'ultimi, diedero ragione agli interessi dei Vicini di Nadro.        
               



Cividate Camuno


È la Civitas Camunnorum  dei Romani. Ne è prova il testo vergato sul grande monumento augusteo posto a La Turbie sulla Costa Azzurra in cui, inciso nel 7-6 a. C. cita testualmente la presenza nella attuale Valle Camonica del suo popolo Camunnorum. Ma già nel 16 a. C. i Romani avevano ufficialmente inserito la Vallecamonica nella loro geografia territoriale e, come loro usanza, avevano installato da subito a ridosso del colle del Barberino la loro sede di potere. Nacque così la Città dei Camuni le cui testimonianze scoperte negli ultimi decenni mostrano come quel tessuto urbano, comprendente le Terme, il Teatro, l'Anfiteatro e il vicino Santuario di Minerva, fosse nella parte storica di quel popolo conquistatore una importante realtà che oggi, a maggior ragione, inorgoglisce non poco i suoi abitanti e quelli della Valle intera. Il comune comprende circa tremila abitanti il cui passato si è espresso con prevalenza agricola. Negli anni del primo conflitto mondiale ha avuto anche importanza strategica per la presenza di un aeroporto militare in località Prada. Dagli anni settanta dello scorso secolo in quella vasta area agricola che aveva visto l'aeroporto, per iniziativa della Comunità Montana di Vallecamonica che ne aveva messo a disposizione i terreni, è iniziata una fase di insediamenti artigianali e industriali, legati i primi alla lavorazione di manufatti ed infine, come è tutt'oggi, ad insediamenti industriali nella lavorazione degli acciai la cui produzione altamente specializzata varca con estrema competenza i confini nazionali e internazionali. Sempre in quegli anni gli amministratori del Comune hanno operato e ottenuto per installare un pregevole Museo nazionale della Vallecamonica che raccoglie testimonianze della romanità valligiana.


Darfo Boario Terme

È il comune col maggior numero di abitanti: c\a quindicimila, della Valle. Esso comprende una decina di frazioni\paesi che uniti formano una unica municipalità. Il suo nome attuale risale al 1968, mentre l'anno dopo, con decreto del Presidente della Repubblica, venne insignita del titolo di "Città".
Da allora, a seguito dell'insediamento di piccole industrie e artigianali, la città di Darfo B. T. ha sviluppato anche la sua rete urbana e abitativa. Di particolare importanza è stata l'operazione imprenditoriale attuata alla metà degli anni ottanta che ha visto la soppressione del cotonificio Olcese posto in fregio a Via Manifattura, per far posto a centri abitativi, commerciali e al Centro Congressi.
La sua storia è comunque millenaria per la presenza di testimonianze preistoriche con le incisioni rupestri del Parco di Luine, di Attola, del Monticolo e di altre zone minori. Nell'area a ridosso del Monticolo è stato allestito l'Archeo Park, un parco tematico che permette di rivivere la preistoria alla scoperta degli antichi Camuni e delle genti padane ed alpine nel corso degli ultimi millenni.   
Da diversi decenni è di fatto il centro gravitazionale valligiano per la presenza di numerose realtà alberghiere. Principalmente però è conosciuto su scala nazionale per le Terme di Boario operanti fin dal XVIII Secolo e rese famose anche per un interesse sanitario delle sue acque espresso a suo tempo dall'autore dei "Promessi sposi", Alessandro Manzoni. La struttura centenaria, che accoglie decine di migliaia di pazienti all'anno che usufruisco delle sue acque curative, è caratterizzata da un grande parco sormontato dalla visibilissima cupola in stile liberty. Al suo interno i pazienti possono usufruire delle quattro  fonti di acqua minerale, del centro per le cure del fegato e del centro benessere.

Esine


A Esine ha inizio la Valgrigna, dal torrente Grigna, valletta laterale della Vallecamonica. Il comune si compone di altre due frazioni, Plemo e Sacca che fanno del comune coi suoi abbondanti cinquemila abitanti uno dei centri più popolosi della Valle. La sua storia si articola principalmente nell'ultimo millennio. Il suo nome compare per la prima volta in un antico documento dell'ultimo decennio dell'anno Mille. Diviene da subito un centro politico ed economico importante dando ospitalità ed alcune famiglie di nobile aspirazione. Il suo confine erano le sponde a manca del fiume Oglio, mentre a dritta erano i limiti del comune di Borno. I capricci stagionali del fiume però alteravano spesso quei limiti tanto che alla metà del XII Secolo, a seguito della costruzione di una palizzata di riparo eseguita da bornesi e ritenuta abusiva dagli esinesi, vi fu uno scontro che lasciò sul terreno almeno tredici morti. Vennero sancite le pacificazioni ma la contesa si trascinò più o meno bonariamente fino allo scorso secolo. Nei pressi di quell'area, in località Zappata, le due sponde del fiume Oglio erano unite per il transito delle persone da una barchetta. Nel 1870 infine fu costruito un ponte, l'attuale, in muratura. In passato la sua economia si articolava tra agricola, allevamento e artigianato, con la presenza di alcune fucine per la produzione della ferrarezza di uso quotidiano quali zappe, vanghe, secchi e simili. Il suo centro storico è caratterizzato da molteplici e prestigiosi palazzi che narrano l'importanza del paese, inserito a pieno merito nel favoloso mondo del passato franco\longobardo e rinascimentale. Al riguardo è presente la chiesa di S Maria Assunta che da sola coi molteplici affreschi del Da Cemmo, narra e testimonia la bontà di quel periodo storico. Ha dato i natali a studiosi, artisti e storici di primo piano quali Fortunato Federici, Gianbattista Guadagnini, Antonio Guadagnini, Alessandro Sina. A partire dai primi anni novanta dello scorso secolo è stato attivato l'Ospedale della Vallecamonica la cui presenza pone il comune di Esine in una posizione di ulteriore prestigio.     

Niardo

In dialetto camuno si dice "Gnart" e attualmente, compresi Gera, Crist e Brendibusio, conta circa duemila abitanti. La sua storia ricalca in parte quella dei centri a lui vicini anche se, per via di almeno tre personaggi importanti del passato, Sant Obizio, San Costanzo e Beato Innocenzo da Berzo, le cui ricorrenze annuali vengono ricordate in pompa magna, lo inseriscono a pieno titolo nei centri più noti della Valle Camonica. Posti come erano a mezza costa essi si garantivano contro almeno due grossi pericoli per la loro incolumità; delle inondazione stagionali del fiume Oglio e delle razzie perpetrate dalle soldataglie vagabonde che percorrevano la Valle Camonica nei due sensi. A dare una mano vi erano una serie di Rocche di avvistamento che permetteva agli abitanti, in caso si vero o presunto pericolo, di porsi ai ripari.
La sua economica era basata principalmente sull'allevamento e sull'agricoltura. I bovini erano la principale fonte di reddito i quali, l'estate, venivano mandati nelle malghe alte. E se venivano a mancare quei pascoli la situazione si faceva seria. Ne fa fede la lotta combattuta nel XII Secolo contro Breno per il possesso del monte Stabio. Niardo però ha avuto anche una sua dignitosa attività nella lavorazione del ferro e nella trasformazione del legno delle sue abetaie. Nel XVIII Secolo, con l'avvento dell'Austria dopo la caduta di Napoleone, l'economia valligiana, compresa quella di Niardo, ebbe una forte contrazione tanto che i suoi abitanti maschi furono obbligati ad emigrare in massa, riducendo il paese a poco più di ottocento abitanti. Ma si diceva dei tre santi, ovvero Costanzo (1066-XII Sec.); Obizio (? - 1206); Innocenzo (1844-1890). Essi sono stati e sono la bandiera religiosa, culturale e civile di questo popolo il quale, nell'arco dell'anno, organizzano importanti iniziative a loro ricordo. Sant Obizio è il più festeggiato. Nel 1920 l'allora parroco don Betta istituì la Compagnia delle Guardie d'Onore di Sant Obizio per decorare le funzioni religiose. Da allora agli inizi del mese di maggio la cerimonia si ripete con somma partecipazione del popolo.               

Losine

Anche questo borgo è antico e alcune sue vestigia risalgono addirittura all'anno Mille. Attualmente non arriva a seicento abitanti anche se l'azione urbanistica iniziata una ventina di anni or sono permette di ipotizzare un florido sviluppo abitativo. Di fronte il paese può ammirare la cresta del Pizzo Badile Camuno, ed è da quelle creste, che gli antichi abitanti della Valle, i Camuni, ogni mattina vedevano spunta magicamente il sole.
Il sole che lo riscalda tutto il giorno e la Concarena alle spalle che attenuta di molto le furie dei venti gelidi che spazzano quei luoghi ha permesso al paese di Losine di godere di un clima ottimo per poter coltivare quel poco o tanto che ne permetteva in tempi passati la sussistenza alimentare. In modo particolare il vino. Ed è appunto in questo comune che una decina di anni fa un gruppo di volenterosi ha sviluppato l'idea della vinificazione, forti del fatto che la sua storia, in più occasioni, accennava a questa disciplina, pur condizionata nella qualità. D'altronde i popoli valligiani del passato avevano dovuto fare i conti con un clima più rigido, subendo lo strascico della 'Piccola era Glaciale' protrattasi fino agli ultimi decenni del XIX Secolo. Con un paio di °C in meno della temperatura ideale era difficile ottenere una maturazione ottimale dell'uva. Negli ultimi decenni le cose sono cambiate e i risultati si vedono perché da quelle cantine esce un vinello che non ha nulla da invidiare per qualità ai vini 'forestieri'. Si aggiunge anche la specializzazione avvenuta riguardante la scelta dei vitigni e la manipolazione ai climi controllati delle vecchie e nuove cantine.
A sostegno della lodevole iniziativa vitivinicola, una decina di anni fa, gli abitanti di Losine, hanno inventato una apposita festa chiamata "I sciòr del Torcol" (I signori del torchio) che da subito è stata accolta con entusiasmo dalla popolazione locale, ma anche da quella dei centri vicini i quali, gli uni e gli altri, alla scadenza annuale, trovano modo di rivivere momenti di storia locale della quale moltissimi, magari, ne hanno sentito solo parlare.                




Lozio

Il comune di Lozio ha assunto il suo nome da quello della Valle, ampia e solatia, nella quale insiste. Esso si compone di quattro frazioni: Sucinva, Laveno, Sommaprada e Villa attualmente collegate fra loro con ampie e ben tenute strade asfaltate. È posto mediamente ad una quota di poco inferiore ai 1000 mslm ed anche la sua storia si svolge da testimonianze romane, col ritrovamento di monete di quel periodo; medievali, al tempo dei Guelfi e dei Ghibellini e della loro principale famiglia dominante, i Nobili; ed in seguito a gestione popolare con l'insediamento di ben quattro Vicinie, una per frazione, con una quinta, Generale, che soprassedeva alle esigenze dell'intero territorio. Allora era fortemente isolata, e a riprova che i contatti fra le singole comunità non erano molto frequenti, quegli abitanti un poco si differenziavano anche nella loro lingua parlata, fenomeno che in parte sussiste tutt'ora. Nel secondo dopoguerra è stata resa carrozzabile e poi asfaltata la strada forestale di Creelone, che unisce Villa a Ossimo Superiore e poi sul fondo valle. Caratteristica a monte di Sommaprada la chiesetta di S. Cristina, leggendaria eremita carolingia sorella di S. Fermo (Borno) e S. Glisente (Berzo Inferiore).      
L'economia della zona è sempre stata prevalentemente alpina, con una risicata agricoltura, rubata alle pendici della montagna, l'allevamento bovino e ovino e rigogliose abetaie.
Il territorio comunale gravitava anche verso la confinante Valle di Scalve per cui aveva attivato un forno fusorio per la fusione del minerale di ferro proveniente da quelle miniere.
Da sempre anche Lozio è stata terra di emigrazione, e a far tempo dagli anni cinquanta dello scorso secolo la sua popolazione, da un migliaio di abitanti si è ridotta gradualmente fino a giungere, ai nostri giorni, a poco più di quattrocento anime. Ultimamente, a seguito di iniziative coraggiose delle Amministrazioni che si sono alternate, sembra si sia attivata una tendenza contraria, certo stimolata dalla proposta di una forma di turismo che sembra sia apprezzato da un pubblico di componente famigliare.   

Malegno


Sembra che il suo nome, (dallo storico locale Lino Ertani) derivi dai due vocaboli primordiali mal
=monte e egn=acqua. Fin dall'XI secolo è stato sede di un ospizio che, dopo aver ospitato viandanti e raccolto con la "ruota" bambini abbandonati, ha assunto in questi ultimi decenni un ruolo più specifico come centro di riabilitazione per ospiti disabili. Come tutti i centri valligiani anche Malegno ha vissuto un robusto sviluppo urbano, grazie anche alla installazione negli anni venti dello scorso secolo della acciaieria specializzata SELVA, poi SEI, attualmente Riva Acciai. Grazie a quella attività industriale la comunità di Malegno originariamente con attività agricola e artigianale si avviava ad un percorso di sviluppo economico importante. L'acqua del torrente Lanico, oltre a dare il nome al borgo posto lungo l'asse della ex SS 42, nei secoli passati aveva permesso a quella popolazione di attivare una serie di fucine per la lavorazione della ferrarezza, con la produzione di oggetti per uso quotidiano come badili, zappe, forconi, utensili da cucina ecc.
In questi ultimi tempi in una di quelle fucine ormai in disuso è stato allestito un Museo a tema chiamato "La Fudina" in cui sono esposti e rappresentati gli strumenti e i momenti di quello specifico tipo di lavorazione.
Da Malegno iniziava la mulattiera che portava alla Valle di Lozio e ai centri di Ossimo e Borno. Negli anni venti dello scorso secolo, con lo sviluppo della motorizzazione, la vecchia e ripida strada veniva convertita in una ampia carreggiabile che permise, e attualmente facilita ulteriormente, un accesso facile e veloce verso i centri dell'Altipiano del Sole e, con il valico di Croce di Salven, il congiungimento con la Valle di Scalve. A partire dal 1964 è stata allestita la corsa automobilista cronoscalata Malegno-Borno.     

Ono S. Pietro

A riprova delle millenaria divisione che ha caratterizzato i centri abitati della Valle Camonica, comunque non sempre per partito preso, anche Ono San Pietro, ha tutta una sua storia particolareggiata. Una divisione c'era anche all'interno del paese, da una parte Hono e dall'altra Cricolo, quest'ultimo posto a ridosso della chiesa di S. Pietro, però, l'uno e l'altro, all'occasione, si sentivano una solo paese che, a far tempo dalle testimonianze medievali si chiamavano e venivano citati come: Do, Doi, Hono, Onno.
La sua economia infatti si è sempre basata su principali attività quali quelle estrattive, con le miniere del ferro e del marmo Buchenstein detto 'occhialino';  con la produzione della calce, tramite le numerose calchere, ancora in uso negli anni dopo il II Conflitto Mondiale; con la trasformazione della legna in carbone per l'uso domestico col 'poiat', ma principalmente per venderlo e trarne un indubbio guadagno. E, altra attività importante, l'allevamento del bestiame la cui possibilità di monticare nel mesi estivi sui ricchi pascoli che si stendono da Natù a Rüa, da Plaurenti al Mella, permetteva al risicato numero di abitanti di Dò di vivere, con i prodotti del latte, una esistenza dignitosa. Anche Ono, forse più di altri vista la sua pochezza urbana, ha dovuto subire nel tempo degli abbinamenti con i comuni vicini che rischiavano di scardinare il principale elemento di unità di quella comunità. La storia ci ricorda che le due contrade, facenti capo alle due chiese di Ono e Cricolo, furono unite tramite Decreto già nel XV Secolo e che all'epoca, assieme, contavano circa 250 anime. Anche se, un centinaio di anni dopo, un altro documento sottolinea che le due comunità si mantenevano distinte. Ma questi erano sgarbi tra fratelli. Ben più dolorosa fu l'unione forzata a favore di Cerveno, effettuata in epoca del Regno Lombardo Veneto, che durò il tempo di lasciare decantare il giacobinismo napoleonico. L'ennesimo affronto lo subì in epoca fascista con la forzata unione con Capo di Ponte. Fino al mese di agosto del 1947 quando, tornato indipendente, "...un folto gruppo di cittadini penetrò nel Municipio di Capo di Ponte e si riappropriò della bandiera, dei registri e dei suppellettili, portandoli in corteo sino ad Ono San Pietro"



Ossimo


Il comune di Ossimo, che si compone di due frazioni indicate come Superiore e Inferiore, è un comune montano posto su una ampia zona degradante e solatia a circa ottocento mslm. Per secoli i suoi abitanti hanno vissuto grazie allo sfruttamento agricolo, ancorchè risicato, delle balze che gravitano attorno ai due villaggi. Ad integrazione della produzione agricola, e grazie alle vaste praterie atte alla fienagione e pascolo, vi era una importante attività di allevamento di mucche, ovini e animali da cortile che davano ottima e abbondante produzione di latticini e salumi. Fino al 1963, con l'istituzione del comune di Piancogno, Ossimo poteva accedere anche ad una vasta area sul fondo Valle, ai margini del fiume Oglio, compreso una metà del villaggio di Cogno. A partire dai primissimi anni dello scorso secolo, con l'avvio del Cotonificio Olcese di Cogno, anche Ossimo potè usufruire dei proventi di quella attività anche se, per accedere a quell'opificio, le maestranze, principalmente donne di ogni età, dovevano scendere dal loro villaggio per un ripidissimo sentiero scavato nella roccia tutt'ora agibile e chiamato "Scalì de Osem" (Gradini di Ossimo); ma anche "Senter de la Madunina (Sentiero della Madonnina), per la presenza a metà percorso, a foggia di protezione, della statua della Madonna.    
Attualmente, oltre al mantenimento di una discreta attività di allevamento, Ossimo si è inserito a pieno titolo in un contesto di proposta turistica. Alcuni anni fa, grazie al competente entusiasmo del pittore e studioso Giancarlo Zerla coadiuvato dalla moglie Amalia, sono stati scoperti e studiati siti archeologici preistorici la cui presenza di numerose statue stele incise risalenti all'età del rame ha inserito Ossimo in quel particolare settore scientifico. A seguire è stato allestito presso la ex casa parrocchiale di Ossimo Superiore un ricco e articolato Museo Etnografico.   
Ultimamente sono state molteplici le proposte turistiche, fra cui, nel 2003 vi è stata l'iniziativa del "Salame più lungo del mondo" (132,2 m) e due anni dopo di quello più grosso del mondo dal diametro di 30 cm e dal peso di 376 kg,  che ha inserito Ossimo nel Guiness dei primati.

Paspardo

Il comune conta circa settecento abitanti, è posto a 1.000 mslm e si può raggiungere tramite la SP 88 che proviene da Cimbergo, oppure da Capo di Ponte dal versante opposto, transitando dalla località Deria. Un documento del 1299 ci conferma che il paese era già vivo e gestito dalla locale Vicinia composta dagli abitanti originari e maggiorenni. All''epoca i suoi abitanti superavano di poco le seicento unità, numero che cento anni dopo, nel 1961, ebbe la sua punta massima con 1.266 persone. Poi nei seguenti cinquant'anni, cioè fino ai giorni nostri, il calo demografico fu continuo e inarrestabile fino a giungere agli attuali 646.
La sua economia è sempre stata caratterizzata dalla emigrazione degli uomini validi verso città lontane e principalmente all'estero. Tanto è vero che gli abitanti del paese vengono chiamati anche Sguìsser
(Svizzeri). Furono molti infatti che nello scorso secolo dovettero emigrare all'estero dove trovavano impiego principalmente nello scavo di gallerie per nuove strade o nella costruzione di bacini idrici; ma anche nelle miniere di carbone. Questa pericolosa attività fu fatale per molti uomini paspardesi i quali, colpiti dalla 'püscera', la micidiale polvere ai polmoni, dovevano lasciare questo mondo molto prima di avere raggiunto i cinquant'anni di età. Tanto è vero che Paspardo viene chiamato anche "il paese delle vedove". Ora per fortuna le cose sono cambiate in meglio e il paese, grazie anche alle pensioni delle donne rimaste vedove, ha assunto una sua fisionomia verso una forma di turismo casereccio fatto in prevalenza di "turisti di ritorno" ovvero di quei paesani che, abitando in altre località con le proprie famiglie spesso e volentieri tornano al paese mantenendolo oltremodo vivo. Con la scoperta e la diffusione della conoscenza delle incisioni rupestri anche Paspardo è entrato in quel circuito turistico. In questi ultimi anni in paese è nata anche una realtà legata alla castagna e alla sua lavorazione con la fondazione del "Consorzio della Castagna di Vallecamonica" voluto espressamente dal  comune di Paspardo, per promuovere il risanamento dei castagneti, recuperare una importante tradizione e creare opportunità occupazionali.              



Piancogno


Il comune così denominato è formato da tre frazioni: Piamborno, Cogno e Annunciata. Esso è il comune che per ordine di tempo è il più giovane della Valle, essendo stato fondato nel 1963. Ha quasi cinquemila abitanti di cui la maggior parte gravita a Piamborno, sede del Municipio. Piamborno ha avuto in passato una sua dignitosa realtà agricola che, per la presenza di alcune famiglie particolarmente abbienti, aveva configurato il paese in una articolata realtà di contrade. Tutt'ora rimangono le testimonianze di queste realtà abitative anche se, a far tempo dagli anni settanta, un capillare sviluppo urbano lo ha inserito in un contesto abitativo di carattere popolare, ancorchè assai privilegiato per funzionalità e clima. Adesso la frazione di Piamborno, che ospita il Municipio e i maggiori istituti civili, con l'insediamento e lo sviluppo di una competente struttura artigianale, ha assunto l'aspetto di un rigoglioso e poliedrico  villaggio.
Cogno invece, in questi ultimi decenni, ha visto il suo contesto urbano afflosciarsi con una azione direttamente proporzionale al venire meno della forza produttrice del Cotonificio Olcese. Dalle migliaia di maestrane occupate fin dal suo insediamento nel 1904, ora, a causa della evoluzione tecnologica, ma anche per scelte di interesse internazionale, ne sono rimaste un centinaio. Seppur limitato il Cotonificio Olcese rimane in una nicchia privilegiata per la alta qualità del suo prodotto. Rimane la Terra dell'Annunciata che da sola giustifica, con la presenza delle sue vigne, ma principalmente dell'omonimo Santuario francescano, una importanza storico documentale e artistica che ne fa il fiore all'occhiello del  comune, oltre che del territorio circostante esteso alle regioni limitrofe. Al suo interno il convento\santuario raccoglie testimonianze artistiche di prim'ordine, in parte legate al pittore quattrocentesco, Giovan Pietro Da Cemmo, oltre che architettoniche e paesaggistiche. Nella seconda metà del XIX Secolo al convento è stato ospite il francescano Padre Innocenzo, morto in odore di santità, e salito agli onori degli altari il 12 novembre del 1961 con Papa Giovanni XXIII che lo aveva dichiarato Beato. All'interno del convento vi è al  riguardo un piccolo museo che ne ricorda le gesta in vita.  


Prestine


Da "Terra di Vallecamonica" si trascrive: "Si lascia la Statale che procede verso il passo di Croce Domini e tenendo a destra si sale a Prestine, villaggio di grande conservazione linguistica non latina, ma triumplina\camuna"
(Lino Ertani) secondo cui, l'etimologia del nome, Prestine, riporta a breh=ponte, palizzata, palafitta su terrapieno; e all'iberico düno. Pertanto la vera fonetica dovrebbe essere Bröhtön.
Comunque la presenza di Prestine risale certamente al periodo romano perchè per giungere alla Civitas Camunnorum provenendo da Brixia passando dalla Val Trompia quello era il solo passaggio obbligato.  
Il villaggio è incastrato nella montagna e trasmette il senso di una terra appartata e indipendente. Gli antichi documenti ce lo confermano ricordando che fin dalla dominazione della Repubblica Serenissima di Venezia quel comune, vuoi per opportuni schieramenti e vuoi per fedeltà, avrà sempre un occhio di riguardo nella esenzione e sconti del pagamento delle tasse e gabelle varie.
Posto come è all'inizio della Valgrigna, Prestine, ha goduto per primo il beneficio dello sfruttamento dell'acqua del torrente Grigna con l'attivazione di alcune fucine per la produzione della ferrarezza.
Nello scorso secolo però i suoi abitanti subiranno anch'essi la sorte di dover emigrare per lavoro, chi sul fondo valle e chi, la maggior parte, all'estero, con il conseguente venir meno del patrimonio abitativo, che è passato dal migliaio del 1921 ai meno di quattrocento attuali. Rimane l'orgoglio millenario della sua gente scaturito dagli Antichi Originari (principalmente i Tottoli e i Trombini) che fondando la Vicinia erano i soli a poter deliberare le cose del villaggio; erano esclusi i nobili, gli ecclesiastici e gli stranieri, (ma questo avveniva anche negli altri paesi valligiani - ndr).   
Ora il vento sta cambiando, e la notizia è di questi mesi, perchè sembra ormai matura, per esigenze economiche e di opportunità, la rinuncia all'autonomia comunale per unirsi a Bienno in un unico comune, mantenendo comunque il titolo di "Antico Borgo di Prestine"


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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